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La luna di Matt

Un romanzo è un viaggio. Verso luoghi sconosciuti, personaggi lontani da noi, ambienti diversi dai nostri luoghi abituali. Leggere un romanzo è come partire alla scoperta di un mondo. Questo vale ancora di più per il romanzo d’esordio di Nathan Filer “Chiedi alla luna” (Feltrinelli) che ci accompagna alla scoperta di Matthew Homes e del suo viaggio attraverso i suoi demoni, i suoi dubbi, la sua ribellione verso l’amore soffocante della madre, la sua psiche tormentata, i suoi sensi di colpa.

Sappiamo già dalle prime pagine che Matt ha 9 anni, è in vacanza a Ocean Cove con la famiglia e con suo fratello, il fratello un po’ speciale, con la faccia tonda e sorridente come la luna: è l’estate in cui conosce per la prima volta Annabelle, una bambina dai capelli rossi e lentiggini sul viso colta nel momento in cui sta seppellendo una bambola, ma è soprattutto l’estate in cui il fratello tanto amato muore.

Da lì comincia la sua discesa agli inferi. Perché si sente responsabile, perché cova dentro di sé il dolore della colpa.

“Riuscivo a distinguere solo i contorni – la notte, la corsa, la polizia, lì da qualche parte. E Simon era morto. Mio fratello era morto. Non riuscivo a soffermarmi su nessuno di questi pensieri. Ci sarebbe voluto un sacco di tempo prima di riuscire a tornarci sopra. Non riesco a parlarne neanche adesso. Ho solo una possibilità di fare le cose per bene. Devo stare attento. A squadernare con cura la mia storia, in modo da poterla ripiegare e mettere via, caso mai diventasse troppo per me. E lo sanno tutti che il modo migliore di ripiegare qualcosa è seguire le pieghe che già ci sono.”

Gli anni seguenti per Matt sono un’altalena continua tra ricoveri obbligatori, ricordi che lo ossessionano, medicine che lo calmano, incubi ricorrenti, canne, la convinzione di sentire e vedere il fratello, in un confine sempre mobile e fluttuante tra schizofrenia e consapevolezza, ed è in questi momenti di maggiore lucidità che comincia a scrivere la sua storia pur di rimettere insieme i pezzi della sua vita, per riuscire a capire e forse a perdonarsi.

“Mi aspettavo di essere messo in manette e portato subito in prigione, ma non è andata così. Mi aspettavo che i miei prendessero a gridarmi in faccia, ma non è andata neanche così. Era quello che mi aspettavo perché ero troppo stupido per capire che certe cose sono troppo enormi. Qualsiasi punizione è un insulto alla colpa.” Eppure Matt riesce a risalire verso la luce, e tra le figure più tenere e presenti accanto a lui ci sono la nonna Noo e appunto Annabelle.

Attraverso una scrittura priva di qualsiasi retorica e facili sentimentalismi, Filer ci accompagna in un bellissimo viaggio all’interno della mente umana e della follia. Chi meglio di lui, infermiere specializzato nell’assistenza a pazienti con malattie mentali e ricercatore nel dipartimento di psichiatria dell’Università di Bristol. Perché capire i contorti meccanismi della mente di un ragazzo che deve elaborare il senso di colpa e il lutto che ne è alla base, è un’impresa ardua. E necessità di una sensibilità e di una delicatezza particolari.